MARVELIT
presenta
&
In:
Di
Carmelo Mobilia e Igor Della Libera
D-Dove
sono? Ricordo... che ero in volo per una missione, e sono stato abbattuto. Non
capisco più niente. Sono stato ferito, ho male ovunque. Il nemico mi ha
catturato. Mi picchia, mi sputa addosso e non capisco una sola parola di quello
che dice. Non so cosa vogliono da me, ma non importa. Sono un soldato, e non mi
piegheranno mai. L’unica cosa che voglio è una morte onorevole.
Washington D.C.
Quartier Generale del F.B.S.A. Oggi
L’uomo oggi noto come
Jack Daniels è seduto ad una scrivania immerso da tonnellate di carta e
scartoffie. . Era venuto a Washington qualche
giorno prima assieme a Capitan America ed altri cosiddetti eroi patriottici per
trovarsi coinvolto in una pericolosa missione (1) e prima di ripartire per Los
Angeles gli è stato chiesto di riordinare il suo archivio sui “metàumani potenzialmente pericolosi”. Forse
dovrebbe fare richiesta per avere una segretaria o una stagista che si occupi di queste cose, perché quello era per lui il lavoro
più noioso della terra. No, John Walker (questo è il nome con cui è nato, e che
ha dovuto rinunciare per motivi di “sicurezza nazionale”) non è un drogato di
adrenalina. Non è uno di quelli che si sentono vivi “solo impugnando un’arma o prendendo a pugni qualche farabutto” ma come molti
“macho” della sua generazione è un disordinato. Ci pensava sua madre, quand’era
un bambino a Custer Grove, a mettere in
ordine la casa, mentre gli uomini della famiglia Walker andavano a sudare nei
campi. Altri tempi, altre abitudini, altra vita. A volte gli sembra che siano i
ricordi di un’altra persona. Con le note di “Born in the U.S.A.” la suoneria del cellulare lo riporta alla
realtà. A chiamarlo è la sua fidanzata, Valerie Cooper.
<Val?>
<Ciao John. Purtroppo la mia non è una chiamata di piacere, ma di lavoro.>
<Di cosa di tratta?> chiede.
<Il Pentagono vuole parlare con te... o meglio, con USAgent.>
<Dammi l’orario. Il tempo di cambiarmi e sarò da loro.>
Mantenendo la parola data, il Vendicatore si presenta nell’ufficio del generale Ulysses R. Chapman in perfetto orario. Si mise sull’attenti, da buon soldato.
<Benvenuto USAgent. Riposo.>
<Grazie signore.>
<Figliolo, andrò subito al sodo. Ti ho convocato qui quest’oggi per una missione della massima importanza. Si tratta di una missione di salvataggio, molto rischiosa.>
< Si tratta dei nostri ragazzi?>
<Esattamente. Prima di andare avanti però, c’è una cosa di che devo chiederti... credo che avremo bisogno anche di un certo Vendicatore, o forse ex Vendicatore, corazzato per questa missione.>
<Immagino che non alluda ad Iron Man, signore...>
<Infatti è così. Seppur ufficialmente ricercato, talvolta ci serviamo dei suoi servigi, specie in occasioni come questa. Purtroppo al contrario tuo lui non è facilmente raggiungibile.> (2)
<Capisco dove vuole arrivare signore. Vedrò quello che posso fare e lo ragguaglierò sui dettagli. Ora, se vuole illustrarmi la missione....>
Sede della
REvolution. New York Il giorno dopo.
James Rupert Rhodes, “Rhodey” per gli amici, è uno che ne
ha veramente tante, nella vita. E’ stato un pilota militare di elicotteri, ha
rivestito il ruolo di Iron Man, ha contribuito a fondare i Vendicatori della
Costa Ovest, ha combattuto su di un un’altro pianeta e per un breve periodo ha
addirittura indossato una
bio-armatura simbiotica aliena che gli spuntava da un tatuaggio sul petto. Una
vita movimentata, non c’è che dire. Oggi è il presidente della nuova società
fondata da Anthony Stark, Danny Rand e Dwayne Taylor ed è prossimo alle nozze
con la donna che ama. Finalmente la sua vita ha assunto toni decisamente più
tranquilli ma, nonostante avesse giurato a se stesso
di non indossarne più i panni, il destino lo porta sempre più spesso a
combattere nel ruolo di War Machine... come quest’oggi, quando il suddetto
destino assume le sembianze di USAgent e bussa alla sua porta. Non era affatto strano vedere un
Vendicatore frequentare quegli uffici; la cosa insolita stava nel fatto che questi andasse
nell’ufficio di Rhodey anzichè in quello di Stark.
<Salve
Agent. Cosa ti porta qui? Cercavi Tony?>
<No
Rhodes sono qui per te... o meglio, del tuo alter ego in armatura.>
Pochi
al mondo erano a conoscenza della sua identità segreta. USAgent però era tra
questi, e se era venuto fino a lì per richiederne i servigi, anzichè passare
attraverso i canali dei Vendicatori, si trattava di certo di una questione molto
delicata.
<Cosa
bolle in pentola?>
<Ho
una missione su misura per te. Ho letto il tuo curriculum militare, e so che
eri un pilota di elicotteri...>
<E
allora? Non è propriamente un segreto, questo.>
<Si
lo so, era per sottolineare il tuo attaccamento alla bandiera e ai membri
dell’USAF, perchè si tratta proprio di questo. Ci sono alcuni dei nostri che
sono stati abbattuti in territorio afghano in un punto cazzuto. I capi pensano
che due Vendicatori come noi abbiano maggiori chance di riuscire a tirarli fuori
da quell’inferno rispetto alle forze armate regolari.>
<E’
davvero così brutta?>
<Si
lo è. Ma non posso parlartene qui. Ti dirò maggiori dettagli quando War Machine
mi raggiungerà alla base militare di Fort Hartman domani a mezzogiorno. Spero
che non mancherai.>
Avrei
potuto esserci io al loro posto, pensò Jim. Soldato una volta, soldato per
sempre. Quei ragazzi sono nelle mani
di pazzi fanatici che non esiteranno a torturarli ed a umiliarli. USAgent aveva colpito nel segno. Era
sicuro che domani War Machine si sarebbe presentato puntuale.
Base di Fort Hartman. Il
giorno dopo.
Come
previsto da USAgent, War Machine atterrò sulla pista d’atterraggio all’orario
prestabilito. Agent gli andò incontro ad accoglierlo, mentre molti soldati
squadravano l’eroe corazzato fissandolo in malo modo. Giravano brutte voci su
di lui. Agli occhi del resto della nazione questi era un ricercato, eppure era
lì a stringere la mano ai generali, accompagnato da un supereroe federale. Ma
loro non erano lì per fare domande, ma solo per eseguire gli ordini. Poco dopo,
all’interno della base USAgent, con una cartina alle sue spalle, illustrava a
lui e ad un corpo scelto di soldati i dettagli della loro missione.
<I
nostri ragazzi stavano sorvolando questa zona quando sono stati abbattuti.
Secondo i dati in nostro possesso, i loro aerei
sono stati colpiti dai missili di un cannone antiaereo Argus. (3) Se vi state chiedendo cos’è, si
tratta un’arma top secret il cui progetto anni fa fu rubato e venduto alla Molavia dal criminale
noto come Machinesmith. Si dice che ‘Smith riuscì a carpire segreti dell’Argus direttamente dal cervello di Capitan
America in persona. Ora, non sappiamo come i ribelli afghani siano riusciti a
mettere le mani su di un prototipo dell’Argus, anche se possiamo supporre che
quel bastardo di Machinesmith, o qualche criminale molavo, si sia arricchito vendendo i progetti del cannone a quei terroristi. Per
questo motivo il Pentagono pensa che solo noi possiamo riuscire a penetrare in
quella base con successo... specie grazie al tuo contributo, War Machine. Tu
dovrai attaccare la base attirando su di te la maggior parte del fuoco
nemico.>
<E sopratutto dovrò fare da bersaglio al cannone Argus, presumo.>
<Si
è così. Solo tu hai qualche possibilità di sopravvivere ad un massiccio attacco
da parte loro. Io e i ragazzi invece arriveremo dalle retrovie, entreremo nella
base e ci occuperemo della liberazione degli ostaggi.>
Sotto
l’elmetto Jim Rhodes fece
una smorfia. USAgent non gli piaceva un granchè, i suoi modi autoritari spesso
irritavano, ma bisognava ammettere che era in questo genere d’ambiente
sguazzava come una rana in uno stagno. Inoltre doveva riconoscere che
nonostante alcuni screzi in passato, i due erano molto più simili di quello che
pensava: ad esempio, entrambi avrebbero dato la vita pur di liberare quei
ragazzi.
Giorni dopo, nei cieli sopra
il deserto afgano.
Il
rumore delle pale dell’elicottero copriva
la voce dei soldati. Per Jim era come un ritorno alle origini.
<Ok
siamo sul punto prestabilito. Da qui in poi in poi è rischioso per noi
avvicinarsi, non possiamo proseguire oltre o entreremo nel raggio d’azione
dell’Argus. Dunque da adesso sei solo. Buona Fortuna.>
<Grazie Agent.> Non aggiunse altro e si lanciò nel vuoto. I razzi nei suoi
stivali si attivarono e con un rombo lo lanciarono nella direzione desiderata.
La “moschea”
non era altro che una stanza ricavata nella roccia. Dei tappeti sgualciti erano
disposti in direzione della Mecca. Un piccolo mobile raccoglieva le calzature
di chi pregava. Quando il soldato entrò il suo capo era inginocchiato davanti
alla parete dove mani poco abili avevano vergato dei versetti del Corano Sembrava un dipinto preistorico, la vernice
ormai secca era colata dai bordi del disegno scivolando a terra come se le
parole stesse sanguinassero per i peccati di chi diceva di seguirle. Il soldato
avrebbe preferito farsi esplodere in un mercato affollato che disturbarlo, ma
la notizia appena arrivata doveva essere comunicata subito. Il capo si era
accorto dell'intruso. Sollevò la schiena e si alzò lentamente. Si voltò
mostrando il viso segnato da una cicatrice in parte coperta dalla barba bianca
e lunga. Indossava una divisa militare. I piedi erano scalzi. Mancavano due
dita a quello destro.
<Che Allah
ti protegga se il motivo che ti ha spinto a turbare le mie preghiere non sarà
degno di attenzione.>
<Le nostre
sentinelle ci hanno segnalato la presenza di un intruso. E' più piccolo di
qualsiasi aereo conosciuto, ma vola molto veloce nella nostra direzione.>
disse con un' unica emissione di voce.
<Preparate
il fulmine di Maometto, occupatevi
del nemico come avete fatto con gli altri infedeli.>
Lo congedò e
il soldato uscì sospirando sollevato. Aveva ancora negli occhi la mano che
veniva tagliata al suo compagno, colpevole di aver indugiato con l'alcool, e
nelle orecchie le sue grida disumane dettate dal dolore. Dentro il capo si
lisciò la barba con la mano e poi guardò verso gli occhi appena accennati del
rozzo dipinto.
<Tu che sei
la voce del Dio, offri un segno al tuo umile servitore. Come possiamo noi
esseri di creta dominare il fuoco azzurro del Djinn?>
Il capo sentì
un sussurro dentro di lui, o forse lo immaginò soltanto, e questo lo guidò
fuori dalla moschea lungo un corridoio basso dal cui soffitto pendevano alcuni
denti di roccia.
Era come se
entrasse nella gola di un mostro. Passata la bocca si trovò davanti ad una
porta in legno. Bussò tre volte e qualcuno dall'altro lato lo fece entrare.
Il cielo
limpido contrastava con la durezza delle montagne. Le creste erano come lame
seghettate che tagliavano l'aria. I pendii erano scoscesi e difficilmente
superabili. Gli occhi elettronici di War Machine però vedevano oltre quella maschera naturale, penetravano
nella roccia e scrutavano dentro i cunicoli ricavati dall'uomo.
I Talebani
come già per la base di Tora Bora avevano lavorato con cura sfruttando le parti
dove la pietra concedeva di più e creando un palazzo alla rovescia che invece
di svettare profondava nel terreno. War Machine aveva sul visore la mappa del
luogo, ottenuta incrociando dati satellitari e informazioni segrete. Il tutto
era poi stato inserito nel suo computer di bordo che aveva prodotto il modello
virtuale che ora gli ruotava davanti.
Analizzandolo
vide che sul basso c'era una delle entrate meno protette, solo alcune
sentinelle la pattugliavano. Da lì gli uomini guidati da USAgent potevano avere
gioco facile per penetrare nella fortezza.
<Se hanno a disposizione il
cannone Argus avranno sicuramente un sistema per individuarmi anche se la mia
armatura è schermata. Fra poco dovrei avere loro notizie. Non mi faranno certo
mancare un caldo benvenuto>
Rhodes non
parlava da solo, ma era in contatto con Agent che non tardò a rispondergli.
<Lo so che
non ti dispiace fare da bersaglio. Ti mancava di poterti scatenare un po' con
la tua scatoletta e i tuoi gingilli, vero?>
<Siamo
uomini d'azione, da prima linea. Le mani ci piacciono quando sono sporche.>
<Giusto.
Lasciamo ad Iron Man e Cap le copertine. I nostri nomi stanno meglio nei dossier
di cui nessuno saprà mai nulla.>
<Vedo
brillare qualcosa, passo e chiudo.>
Sotto la punta
di una delle creste, la roccia si mosse. Una parete, che in realtà era di
acciaio, scivolò ed emerse la punta sagomata dell'Argus.
<Raccomandata in
arrivo… vediamo che effetto gli fa una scarica di mitraglia!>
La gatling
uscì dalla schiena dell'armatura e si appollaiò sulla spalla.
<Forza
pappagallino, fai sentire la tua voce!>
Una scarica di
proiettili perforanti volò in direzione del missile. Gli rimbalzarono contro
cadendo come una pioggia di piombo sulle rocce sottostanti.
<Ha
uno scudo protettivo. Da uno come Machinesmith dovevo aspettarmi un missile intelligente.
Questo qui però ha l'aria di essere un vero e proprio cervellone.>
War Machine
iniziò a muoversi a zig zag nell'aria e poi si accelerò (accelerò) spingendo al
massimo i jet celati nei suoi stivali a propulsione. Il missile gli stava alle
costole. Era evidente che non se lo sarebbe scrollato di dosso facilmente. Era
attaccato al calore emesso dall'armatura come un francobollo ad una busta.
<Ricerca
termica. Niente di nuovo, so già come confondere i suoi sensori. Per fortuna
che ho chiesto a Tony di implementare in questo modello qualcosa che avevo
quando indossavo l'eidolon.>
War Machine si
fermò a mezz'aria. Quando il missile fu quasi sul bersaglio da dei vani sulle
braccia dell'armatura uscirono dei droni. Erano grandi come uccelli.
<Questo
dovrebbe mandarlo in tilt. Ognuno di questi robottini ha la mia stessa impronta
calorifica.>
USAgent ritirò
il binocolo con cui osservava la battaglia in cielo. Con un gesto del braccio
disse ai suoi che era il momento di muoversi.
<Mi occupo
io delle sentinelle. E' un po' che non porto a spasso il mio scudo.>
Detto questo
scivolò dal crinale raggiungendo la base della cresta. Si addossò dietro uno
spuntone di roccia che gli offriva protezione e gli permetteva di vedere in
direzione dell'ingresso. C'erano due sentinelle e non sembravano rappresentare
un grosso problema. I fucili che imbracciavano venivano sicuramente, come
L'Argus, da qualche mercato nero. Vecchi modelli griffati Machinesmith. Vecchi
per lui, ma per quei tipi era come tenere in mano il potere stesso di Allah.
USAgent fece
segno con le dita al suo gruppo di aspettare. Prese in mano lo scudo e lo
bilanciò un poco prima del lancio.
<Non
è possibile! Stark 0 Machinesmith 2.>
Rhodes non
credeva ai suoi occhi cibernetici. Il missile non si era fatto ingannare dai
droni, li aveva elusi e puntava ancora verso di lui. Era stato costretto a
scappare di nuovo. Sapeva dai dati su quell'arma che conteneva abbastanza
esplosivo da strappargli di dosso l'armatura.
Da fuori
quella caccia tra lui e l'Argus poteva sembrare un gioco. Non lo era. Era in
guerra e contro un nemico che aveva cancellato la sua superiorità tecnologica.
Lui era un soldato e come tale sapeva che l'unica cosa che in guerra rimane
sempre la stessa è la carneficina di uomini. Le armi invece cambiano si
evolvono, migliorano e portano con se nuovi modi di morire.
<L'unico
modo per non prendere la supposta è stringere ancora di più le chiappe.>
Era un rischio
enorme. Aveva a disposizione un unico tentativo.
<Se
questo non funziona tornerò come fantasma a tormentare il mio amico Tony.> pensò prima al compagno di tante
battaglie e poi al volto dolce della sua fidanzata.
Lei non sapeva
che era in missione e se le cose non fossero andate come sperava avrebbe
ricevuto la notizia della sua morte da qualche graduato che in divisa
d'ordinanza e voce listata a lutto gli avrebbe detto che il suo uomo aveva
perso la vita mentre difendeva il suo paese.
Sarebbe stata
orgogliosa di lui anche se non avrebbe avuto un corpo da seppellire e piangere.
Il missile era sempre più vicino e nella sua testa suonavano già le salve dei
fucilieri al suo funerale. Sempre che, visti i suoi problemi, gliene avrebbero
concesso uno di stato e non qualche anonima sepoltura alla presenza di quei
pochi amici che sapevano la verità.
Sono
giorni che il nemico mi tortura, continuando ad insultarmi in quella lingua
incomprensibile. Il dolore mi annebbiava il cervello ... ero confuso, perso. Ma
ora non più. Mi sono abituato al dolore, riesco a sopportarlo. Le mie ferite
sono guarite, la mia mente pure. Ora ricordo, so chi sono. Sono un soldato, e
ho una missione.
Interno della base.
USAgent
raccolse il suo scudo. Aveva steso senza problemi le sentinelle. I suoi uomini
l'avevano raggiunto
<Due di voi
rimarranno qui indossando i loro stracci. Se qualcuno monitora questa entrata
non dovrebbe notare la differenza. Gli altri con me. Non sarà facile arrivare
alle celle dove tengono i vostri compagni, sono nel settore più profondo.
Stando alle schematiche inviatemi da War Machine dovremo prendere
l'ascensore.>
Si avviò oltre
la soglia del piccolo ingresso, poco più di una porta ricavata nella montagna.
I suoi uomini
sparirono nel buio dopo di lui.
Nessuno di
loro vide l'ultimo atto della battaglia sopra le loro teste.
Esterno.
Rhodey
conosceva solo una preghiera, la solita. L'aveva recitata in ogni momento della
sua vita dove c'era la possibilità che non ne sarebbe uscito vivo Nel Sud est
Asiatico quando era bloccato dietro le linee nemiche, nella sua battaglia
contro il Mandarino al fianco dei Force
Works. L'ultima l'aveva spesa quando era stato costretto a combattere
contro chi si era preso la sua vita, la sua identità. La terminò quando il
missile lo colpì in pieno. Per un momento il cielo per larghi tratti si
incendiò. Si rischiarò con una luce dai colori innaturali. Un fuoco viola e
nero lo avvolse gettando riverberi sulle montagne che sembrarono bruciare come
l'aria.
I Talebani che
osservavano dalla torretta con il cannone esultarono. Il nome di Allah si levò
verso le nuvole. L'azzurro tornò limpido e dove c'era l'infedele in armatura
non era rimasto che il vuoto. Il fulmine di Maometto aveva avuto ragione del
nemico.
Uno dei
soldati lasciò la postazione e corse lungo le scale ritagliate nella roccia.
Arrivò nel corridoio che prima aveva percorso il suo capo e raggiunse la stessa
porta a cui aveva bussato. La trovò socchiusa. Sul legno, spingendola in là si
accorse che erano incisi dei segni d'artiglio. Tolse dalla tracolla il suo
fucile speciale ed entrò.
La paura gli
martellava il cuore. L’infedele recuperato quel giorno era diverso dagli altri.
Indossava una strana divisa. Ma era un soldato nemico, inviato per distruggere
il popolo dei Talebani, solo questo contava. Lo avevano preso e catturato
insieme a gli altri, ma le sue grida avevano un suono diverso. Mentre avanzava
trovò i cadaveri di tre persone e un tavolo operatorio con le cinghie divelte,
una visione che lo riportò alla terribile realtà.
Vide altri
macchinari completamente distrutti. Riconobbe il capo di tutti steso in terra
nel suo stesso sangue. Lo girò per scoprire che qualcuno gli aveva trapassato
lo stomaco. Sul volto stranamente, mascherato dalla barba, era rimasto un
sorriso. Gli altri due uomini con dei camici bianchi portavano ferite strane.
Uno aveva le palpebre fuse sugli occhi. Scottavano ancora. Il terzo non era
tutto nella stanza. C'era solo metà del corpo. L'altra sembrava sparire nella
roccia. Doveva dare l'allarme. Il prigioniero era scappato. Corse fuori quando
sentì nell'aria l'odore acre dello zolfo. Si preparò ad un attacco. Il fucile
puntato verso la possibile minaccia. Il soldato avvertì solo uno scoppio alle
sue spalle prima di sentire le gambe, dal ginocchio in giù, tagliate da una
forza invisibile. Cadde sui moncherini. La testa gli rotolò dal corpo sul
pavimento fermandosi contro i piedi di un'ombra possente. La poca luce in
quello spazio stretto non riuscì ad illuminarla. Sparì in un attimo come era
apparsa.
Interno.
L'ascensore
era una specie di montacarichi come quelli che venivano usati nelle miniere.
Quando si mosse più di un americano guardò preoccupato i cavi che lo reggevano.
USAgent aveva altre preoccupazioni che preferì tenere per se.
<Ci stiamo
muovendo con troppa facilità. E' come se qualcuno stesse facendo il lavoro per
noi. O è così o è una trappola.>
Doveva fugare
i suoi sospetti, c'era solo un modo: interrompere il silenzio radio con Jim
Rhodes.
<Qui parla
USAgent. Ci sei? Noi siamo alla fase due.>
Nessuna
risposta solo un graffio come una tv mal sintonizzata.
<Qui
USAgent, rispondi.>
Ancora nulla.
Non c'era tempo per un altro tentativo con un rumore sordo l'ascensore
annunciava di essere arrivato a destinazione.
USAgent uscì
per primo, dopo che la grata si fu sollevata del tutto.
<Di là>
indicò delle scale che salivano aggrappandosi alla pietra <C'è una specie di
luogo di culto, una moschea di roccia, altri corridoi e una stanza laboratorio
o qualcosa di simile. Noi dobbiamo scendere lungo quelle altre scale. Troveremo
parecchia compagnia.>
Uno dei
militari parlò per tutti.
<Siamo qui
per salvare i nostri compagni, non ci interessa se dovremo scavare fino
all'inferno per tirarli fuori.>
USAgent tacque
e iniziò la discesa. Fermò i suoi quando vide dietro un angolo dei soldati
nemici. Le loro teste spuntavano, ma erano stranamente fermi.
<Lasciate
fare a me.>
Si portò nel
punto in cui poteva sorprenderli da dietro e renderli inoffensivi. Afferrò la
testa del primo ma subito sentì del liquido sui guanti. Un odore forte di
sangue colpì le sue narici. Si staccò e il corpo cadde in avanti.
<Sono
morti.>
I soldati da
dietro gli fecero eco.
<Sono tutti
morti.>
Davanti a loro
c'erano i cadaveri di una ventina di Talebani. Alcuni erano appoggiati alle
pareti come quelli che avevano tratto in inganno USAgent, altri stavano in terra.
Le dita bloccate dal rigor mortis
intorno ai fucili. Colpi e raggi laser ne avevano sparati, ma nessuno di questi
era andato a segno. C'era solo il loro sangue in terra.
<Cosa
diavolo è successo qui?>
USAgent si
chinò su alcuni cadaveri mentre i militari americani toccavano gli altri con i
fucili in cerca di qualche segno di vita. Il capitano girò un corpo trovandolo
bucherellato con precisione chirurgica. I fori erano bruciacchiati. Non
conosceva un'arma così spietata e perfetta.
<C'è un
buco nel muro. Sembra sia stato provocato da un pugno. E' penetrato per quasi
mezzo metro. Chiunque l'abbia fatto deve possedere una forza disumana.>
Agent non
ascoltava il tenente, era attratto dai segni visibili sulla roccia.
<Ho già
visto roba simile. Non è possibile. Non può essere stato lui.>
Non fece in
tempo nemmeno a pensare a quella tragica eventualità che fu richiamato dai suoi
uomini. Avevano trovato i soldati per cui erano stati mandati lì. Non erano
arrivati in tempo.
Agent rimase
sulla porta della cella. I militari catturati erano legati per le braccia e
penzolavano dal soffitto. Erano morti dopo aver subito giorni di torture.
Vittime non del mostro misterioso, ma di quelli che conosceva bene, dai
fanatici sanguinari con cui era tappezzato il pavimento.
<Dobbiamo
andarcene di qui.> disse Walker. Non aveva paura per lui, ma per i suoi
uomini. Il gruppo si mosse di nuovo verso l'ascensore. Provò di nuovo a
comunicare con War Machine.
<Qui
USAgent. Dannazione, mi senti Rhodes? Sta succedendo qualcosa di strano nella
base. Molti Talebani sono stati fatti fuori da qualcuno che è sicuramente un
metaumano. Ha forza e crudeltà da vendere. I prigionieri che eravamo venuti a
prendere sono morti. Io porto via i soldati. Se mi senti devi raggiungermi. Non voglio lasciare questa questione in
sospeso.>
Altro
silenzio. Agent cominciò a credere che Rhodes avesse già incontrato quella
minaccia misteriosa. Se era stata in grado di sistemare anche una macchina da
guerra come la sua allora il pericolo era più grosso di quanto quella strage
portava a credere. Non c'era tempo da perdere. Tornarono in fretta
all'ascensore. Fu allora che dalla moschea provennero grida in arabo.
Esterno.
Nel punto in
cui il cannone Argus mirava al cielo i guardiani dell'arma cominciarono a preoccuparsi.
<Non
abbiamo avuto più notizie di Saitan.>
<Pensi che
il nemico che abbiamo fatto esplodere non fosse l'unico.>
Non ci fu
replica perchè il rumore del metallo dell'Argus che si piegava e lacerava colse
i due soldati di sorpresa. Lentamente davanti a loro comparve War Machine. La
modalità stealth l'aveva reso
invisibile.
<Avete
venduto troppo presto la mia pelle. E questo vi è costato il vostro prezioso
cannone.> puntò contro
di loro i piccoli mitra da polso.
Alzarono le
braccia spaventati dall'enorme figura grigio argentea che gli si parava
davanti.
<Vediamo
come se la cava Agent> ci mise un attimo a capire che i sistemi radio erano
stati danneggiati dall'esplosione. Non erano gli unici. L'analisi del sistema
evidenziava un calo di energia del 20 per cento e una parte delle armi laser
erano fuori uso. Quello che aveva sarebbe comunque bastato a stanare i topi
nella montagna. Erano poco più di un centinaio.
Stese con dei
dardi tranquillanti le due guardie.
<Questi
non mi daranno più fastidio, e neppure l'allarme.>
Calibrò il
visore ad infrarossi e quello termico e avanzò verso la grotta che si apriva
alle spalle del cannone distrutto. I muri apparivano con una traccia bianca,
freddi come fossero coperti di neve. Non c'era nessuna aura corporea come se
quel luogo fosse disabitato. Il cielo si stava colorando con il rosso del
tramonto. La notte stava per sopraggiungere. L'unico rumore nel buio era quello
dei suoi passi. La mitragliatrice era pronta a sparare e così quelle piccole
sulle braccia. Ripensò per un attimo al missile che gli piombava addosso. Il
suo trucco aveva funzionato. Lo scudo sommato all'impulso elettromagnetico avevano
contenuto l'esplosione e sfruttando il suo effetto era riuscito, in
modalità ninja, ad arrivare al cannone e ad aver ragione dell'arma più potente
dei Talebani.
Jim Rhodes era pronto a tutto, tranne allo spettacolo che
gli si parava davanti ai suoi increduli occhi: centinaia
di soldati nemici scappare da quella che era la loro base … cosa stava
accadendo, lì dentro? Urgeva ripristinare la comunicazione, assolutamente. Non
era più necessaria la copertura; disattivò la modalità stealth e volò a bassa quota fino alla base del cannone. I Talebani
in fuga quasi non lo notavano, presi a fuggire dalla base. La cosa era inspiegabile,
la curiosità lo stava consumando, ma prima bisognava portare a termine la
missione, e l’insolita situazione lo aveva messo nella posizione di farlo. Una
volta dinnanzi all’Argus War Machine attivò il cohiba, un missile di piccole dimensione ma dall’alta carica
esplosiva contenuto nel minuscolo cannone situato nella sua spalla destra. Si
alzò in volo per non venire investito dallo scoppio e poi sganciò il missile:
l’esplosione fu tale che poteva essere vista da chilometri di distanza.
Missione compiuta. Ora doveva saperne di più su quella misteriosa fuga.
<Se
solo riuscissi a mettermi in contatto con Agent. Forse dovrei riuscire con
l'energia d'emergenza, convogliandola sui sistemi audio, a ripristinarli,
almeno parzialmente.>
La mossa si rivelò vincente, e la radio, seppur gracchiante tornò a
funzionare.
<Qui
Rhodes. Agent mi ricevi? Sono riuscito ad abbattere il cannone Argus… ma che
sta succedendo lì? Perché tutti fuggono terrorizzati?>
< --ZZZZZZZZZZZ—RHODES!
VIENI SUBITO QUI! SIAMO SOTTO ATT—ZZZZZZZZZZ
-- >
La
comunicazione saltò nuovamente. Il messaggio era incomprensibile, ma si capiva
chiaramente che era in grave pericolo. Senza pensarci due volte War Machine
attivò i razzo stivali e si precipitò verso l’interno della base.
All’interno della base, poco prima.
USAgent seguì
le urla dei Talebani fino alla Moschea. Qui si erano rifugiati in una
quindicina. Un paio erano morti, altri rannicchiati in un angolo spaventati non
solo da chi stava massacrando i loro compagni.
Chi urlava era un arabo massiccio. Teneva
contro il muro un compagno e con la mano libera gli tagliò la gola. Mentre il
suo amico moriva dissanguato, si bagnò in quel liquido rosso e continuò a
sbraitare. L'unica parola comprensibile era “Djinn”. Lo ripeteva in
continuazione. Non era la sua prima vittima. Il fanatismo e la follia lo aveva
spinto a sacrificare uomini come lui per placare un Dio che probabilmente
esisteva solo nella sua testa.
Agent gli
bloccò il braccio con il coltello e lo stese con un colpo di scudo. I superstiti
di quella follia andarono verso lui e i soldati americani. Nei loro occhi c'era
speranza, non paura. Uno di loro si inginocchiò ai suoi piedi. Riconobbe in lui
qualcun'altro e mormorò:
<Capitan
America!>
<No, non
sono lui, ma lui non vi avrebbe abbandonati e nemmeno io lo farò.>
Aiutati dagli
americani il gruppo si rimise in piedi. Uno di loro parlò, l'unico che sapeva
abbastanza inglese per farlo.
<N-Non era un infedele…. È un Djinn! E’
caduto dal cielo per aiutarci contro gli infedeli. Ma noi non lo abbiamo
riconosciuto e adesso vuole punirci. Ci ucciderà tutti!>
USAgent adesso
ci capiva sempre meno. La priorità rimaneva la stessa di prima: andarsene da
lì.
Lasciò la
Moschea dove solo il dipinto coi versetti coranici era coperto del sangue e
chissà che gli occhi del profeta Maometto non avessero compassione degli uomini
che stavano scappando. Si addentrò nella profondità della grotta, dopo aver
dato ordine ai suoi di non seguirlo. Lì intravide una figura che però scomparve
veloce com’era apparsa.
<Cos'era? Sembrava un uomo, non ho potuto vederlo bene.> accelerò il passo in quella direzione, silenzioso come una pantera. Alle sue orecchie giunse quella che sembrava
una preghiera incomprensibile. All’inizio pensava
che fosse arabo, ma si accorse subito dopo che era qualcosa di completamente
diverso. Da fuori si senti il boato di un’esplosione, e il comunicatore riprese
a funzionare:
<Qui
Rhodes. – ZZZZZZZZZZZZZ - cevi? Sono
riuscito ad – ZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZZ -
fuggono terrorizzati?>
< RHODES!
VIENI SUBITO QUI! SIAMO SOTTO ATT…>
Un pugno
metallico andò a schiantarsi contro il suo scudo, facendogli fare un volo di
parecchi metri e mandandolo a sbattere contro la parte di roccia. Si rialzò in
pochi secondi, stordito, ma il suo assalitore era già su di lui, pronto ad
infilzarlo con gli artigli. Mentre lottava per tenerli lontano dalla sua gola,
USAgent lo sentì inveire contro di lui, e sebbene non capisse nemmeno una
parola di quello che dicesse, riconobbe quella lingua e dunque capì la
provenienza del suo misterioso avversario …
Continua…
Le Note
1 = John Walker, per chi non lo
ricordasse, è ufficialmente morto indossando il costume di Capitan America,
ucciso da dei colpi di pistola durante una conferenza stampa; in realtà si
trattava di una simulazione organizzata dal governo in modo da poter
ristabilire il suo anonimato, guarirlo dalle turbe psichiche che aveva e
riaverlo sano ed obbediente i propri ordini nelle vesti di USAgent; Walker
infatti divenne brutale e violento dopo la morte dei suoi genitori, uccisi da
dei pazzi fanatici chiamati “Cani da Guardia” dopo che due suoi ex colleghi
invidiosi rivelarono alla nazione la vera identità del nuovo Capitan America.
Oggi con il nome di “Jack Daniels” lavora per la FBSA (in sintesi, un corpo governativo
tipo F.B.I. dedito alla minacce superumane) di Los Angeles. Al momento si trova
a Washington per via degli eventi narrati negli episodi di Capitan
America dal num. 44 in poi.
2 = War Machine è
ufficialmente perseguitato a causa di alcuni atti di terrorismo di cui si è
macchiato il mercenario Parnell Jacobs
quando era lui ad indossare l’armatura, nel periodo in cui Jim Rhodes
utilizzava l’armatura aliena.
3 = Il generale
Ulysses Chapman, il cannone Argus e le circostanze che hanno visto Machinesmith
scontrarsi contro Capitan America sono tutti elementi della run di Cap scritta da Mark Waid nota come Uomo Senza Patria, una delle mie preferite di sempre.
Nel prossimo numero: chi è il misterioso
assassino che sta facendo strage di talebanni? E quali sono i suoi poteri?
Scommettiamo che non ne avete la minima idea?
Carmelo & Igor